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IL DATORE DI LAVORO NON PUÒ SPIARE LE EMAIL PRIVATE DEI DIPENDENTI

  • Immagine del redattore: pablobottega
    pablobottega
  • 16 set
  • Tempo di lettura: 1 min

La Cassazione, con la sentenza n. 24204 del 29 agosto 2025, ha stabilito un principio chiaro: il datore di lavoro non può conservare, né classificare, i dati personali dei dipendenti tratti da email privati, anche se questi risultano scaricati o archiviati su server aziendali.

Il caso nasce da un gruppo di ex dipendenti che, dopo essersi dimessi, si erano visti contestare comportamenti sleali. L’azienda aveva cercato di provarlo producendo email provenienti da account personali, ma consultati tramite i sistemi informatici aziendali.

In primo grado, il Tribunale aveva dato parzialmente ragione all’azienda. La Corte d’Appello di Milano, invece, ha ribaltato tutto, affermando che si trattava pur sempre di corrispondenza privata. La Cassazione ha confermato: l’accesso a un account personale protetto da password viola il diritto alla privacy e alla corrispondenza tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dallo Statuto dei Lavoratori.


I giudici hanno chiarito tre punti fondamentali:

  • il controllo deve essere giustificato da motivi gravi e specifici;

  • deve avvenire con strumenti il meno invasivi possibile;

  • i lavoratori devono essere informati in anticipo su eventuali controlli.


Sono quindi vietati controlli “a tappeto” e senza regole chiare. Non solo: accedere senza autorizzazione a un account privato può configurare anche un reato penale di accesso abusivo a sistema informatico.

In sintesi: la privacy del lavoratore viene prima, e le aziende devono rispettare regole precise per tutelare i propri interessi senza ledere diritti fondamentali.

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