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NON SI PUO’ COMUNICARE LA MALATTIA GRAVE VIA WHATSAPP

  • Immagine del redattore: pablobottega
    pablobottega
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 1 min

Chi si trova in una condizione di salute grave deve documentarlo con certificazioni mediche idonee: i messaggi su WhatsApp, anche se sinceri o frequenti, non bastano. Solo le prove mediche ufficiali possono tutelare davvero il lavoratore.

Un lavoratore affetto da una malattia particolarmente grave non può limitarsi a informare l’azienda del proprio stato di salute con messaggi su WhatsApp.

 A chiarirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26956 del 7 ottobre 2025, che ribadisce come solo la documentazione medica ufficiale possa attestare la natura della patologia e il suo eventuale impatto sul periodo di comporto.

Nel caso esaminato, il dipendente aveva inviato al responsabile alcuni certificati medici privi dell’indicazione “patologia grave che richiede terapia salvavita” e si era limitato a scambiare messaggi informali via WhatsApp per spiegare la propria situazione. La Corte ha ritenuto tali comunicazioni inidonee a dimostrare la gravità della malattia, poiché prive di valore medico-legale.

La Cassazione ha inoltre chiarito che, ai fini del conteggio delle assenze, solo le patologie che richiedono terapie salvavita – come l’emodialisi o altre cure essenziali per la sopravvivenza – possono giustificare una deroga al periodo di comporto previsto dal contratto collettivo.

 

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