Licenziamento e procreazione assistita: la Cassazione conferma la discriminazione
- pablobottega
- 8 set
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Può un datore di lavoro licenziare una dipendente perché sta cercando di avere un figlio tramite procreazione medicalmente assistita (PMA)?
La Corte di Cassazione ha risposto di no, dichiarando nullo un licenziamento che nascondeva una discriminazione di genere.
Il caso riguarda una segretaria part-time di uno studio medico che, dopo vari tentativi, aveva avviato una procedura di fecondazione in vitro (FIVET), una tecnica con maggiori possibilità di successo. Poco dopo, il datore di lavoro l’ha licenziata.
La Corte d’Appello di Trieste aveva già riconosciuto che la tempistica non era casuale: in passato il medico aveva tollerato altri tentativi di gravidanza, ma non questa volta. L’avvio della FIVET, quindi, aveva inciso nella scelta del recesso.
Il datore ha fatto ricorso sostenendo che la ricerca della maternità era nota da anni, ma la Cassazione ha respinto le sue ragioni. Ha ricordato che, nei casi di discriminazione, il lavoratore deve solo fornire indizi precisi e concordanti, mentre spetta al datore provare che il licenziamento sia fondato su motivi legittimi.
In conclusione, i giudici hanno confermato la nullità del licenziamento: non si può penalizzare una donna perché sceglie di diventare madre, anche tramite PMA. La sentenza rappresenta un segnale importante di tutela contro le discriminazioni sul lavoro e riafferma il diritto alla maternità come valore fondamentale




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