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Ultras condannato: la Cassazione conferma il licenziamento

  • Immagine del redattore: pablobottega
    pablobottega
  • 5 set
  • Tempo di lettura: 1 min

Un lavoratore può essere licenziato anche per fatti commessi fuori dal posto di lavoro, se questi ledono la sua integrità morale e minano il rapporto di fiducia con il datore.

Lo ha ribadito la Cassazione, confermando il licenziamento di un ex operaio, appartenente a un gruppo ultras, condannato a otto mesi per oltraggio e istigazione a commettere reati contro la polizia, oltre che per offese a pubblici ufficiali.


L’uomo aveva contestato il provvedimento sostenendo che fosse tardivo e ritorsivo. Ma la Suprema Corte ha chiarito che il termine per agire decorre dal momento in cui l’azienda viene a conoscenza della condanna definitiva. In questo caso, il datore aveva scelto di attendere con prudenza la fine del processo penale, mentre il lavoratore non aveva collaborato, omettendo di comunicare l’esito della vicenda giudiziaria.


La gravità dei fatti – sebbene estranei al lavoro – è stata ritenuta tale da compromettere l’immagine e l’affidabilità del dipendente, giustificando così la sanzione espulsiva. Secondo la Cassazione, infatti, i reati commessi contro le forze dell’ordine e pubblici ufficiali incidono direttamente sulla moralità del lavoratore e sulla fiducia che deve esistere nel rapporto con l’azienda.

Nessun fondamento, infine, all’accusa di licenziamento ritorsivo: i giudici hanno precisato che il confronto con altri casi è possibile solo quando le situazioni sono davvero identiche.

 

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